Archivio | aprile, 2012

Vivi respirando – Parte I – Il corpo di dolore

25 Apr

Il concetto di corpo di dolore è stato coniato da Eckhart Tolle, forse l’insegnante vivente principale e più conosciuto del pianeta. Descrive con estrema efficacia una delle parti del “me” come lo abbiamo vissuto fino a prima di riconoscere chi siamo, quella parte che emerge quando per qualche motivo la presenza non è a un livello sufficiente e sembra quasi dirottare il “me”, portandolo a fare cose di cui tendiamo a pentirci molto in fretta.

Eckhart ha mostrato con chiarezza come il nostro perdere lucidità porti al sopravvento di una parte di noi, che lui ha chiamato il corpo di dolore, che sembra avere priorità spesso anche in conflitto con la nostra coscienza e con i nostri pensieri. Vale la pena ricorrere a qualche esempio.

Avete presente quelle situazioni nelle quali sappiamo benissimo che stiamo per dire qualcosa che il nostro interlocutore prenderà male, che sia perché ne soffrirà (e noi ci stiamo di fatto comportando da carnefici) o perché scatenerà in lui sensazioni e reazioni negative (magari ci tiriamo proprio la zappa sui piedi), eppure la diciamo lo stesso?

Un’altra situazione tipica tende a verificarsi durante la guida, nel traffico. Appena qualcuno fa qualcosa che non rientra nel nostro schema “ci si comporta così” si presentano varie versioni del corpo di dolore, da quella che parte in quarta alla minima presunta offesa, come se volesse punire l’automobilista che si è reso colpevole di chissà quale offesa mortale, a quella che si mette a discutere con il guidatore fellone (naturalmente senza che costui possa controbattere né tanto meno sentire quel che ci viene fuori), passando per tutte le varianti possibili fra cui la tradizionale selva di insulti e gestacci, evidenti o soffocati dentro di noi.

Non credo sia difficile osservare come in entrambi gli esempi le reazioni descritte vadano invariabilmente e spesso unicamente a nostro discapito. Abbiamo l’impressione di scaricarci di parte dell’emozione negativa, ma in realtà ci intossichiamo per 100, e se ci va di lusso scarichiamo per 30 o 40. Spesso però ci esponiamo anche a rischi e potremmo perfino causare incidenti, diplomatici nel primo esempio, veri e propri nel secondo.

Il punto cruciale qui è vedere realmente che questo avviene dentro di noi, e a volte prenderne coscienza potrebbe causare uno shock. Il secondo punto è sapere che si tratta di un soggetto (probabilmente in psicologia lo chiameremmo alter-ego) piuttosto folle, che sopravvive dentro di noi solo fino a quando la presenza non è sufficiente a farlo svanire. Un terzo punto di notevole importanza consiste nel riconoscere che il corpo di dolore non è per nulla personale. Nel senso che pur apparendo in modalità a volte peculiari e uniche per ciascuno di noi, si tratta dello stesso “animale” che attraversa me e chiunque altro, che si alimenta di sofferenza individuale e collettiva, le cui caratteristiche, per la versione che tocca ciascuno di noi, possono essere certamente state influenzate dal vissuto personale e familiare.

Come si fa a neutralizzare? Vedendolo. Non accorgendosene con il pensiero, ma percependolo con tutto il nostro essere, fino a che non sia scattato l’”aha” che ce ne separa.

Un piccolo inciso: la rappresentazione letteraria tipica del corpo di dolore è il vampiro. Fino a quando è buio -metaforicamente la mancanza di luce è mancanza di presenza- si scatena; non appena sorge il sole -la presenza torna padrona del campo- si deve andare a rintanare in una tomba. Da un punto di vista cinematografico, invece, il personaggio più adatto a dare l’idea del “mostriciattolo” corpo di dolore è Smigol/Gollum, frutto della fantasia di J.R.R.Tolkien e rappresentato magistralmente al cinema ne “Il Signore degli Anelli”. Come molti ricorderanno, si tratta di un mostro dal comportamento bipolare, estremamente servile e codardo oppure altrettanto aggressivo e vile, ma in ultima analisi guidato solo dalla ricerca di dolore, come se quest’ultimo fosse la sua unica ragione di vita, e che non sopporta di esser colto in fallo, cosa che tipicamente lo rende del tutto impotente.

Vivi respirando – parte I – Il momento presente

17 Apr

Uno dei modi con cui i mistici hanno cercato di farci rientrare in noi stessi e di svegliarci, è stato di farci ritornare al momento presente. Qui preferisco provare ad anticipare le conclusioni per poi argomentarle, anche se costringerà il lettore a un bel salto. Molte delle descrizioni che seguono, infatti, potrebbero essere usate nella terza sezione di questo scritto.

Sempre tenendo a mente che parole e frasi sono cartelli e non la realtà che cercano di richiamare, non diverse da una equazione matematica usata per descrivere un fenomeno fisico, potremmo fare una serie di affermazioni come queste:

  • L’”Io” vero, quello che posso riconoscere adesso, è lo spazio di coscienza consapevole in cui tutto accade;
  • Senza questo “Io”, la realtà non potrebbe nemmeno sorgere, perché la precede e la sottende; un po’ come dire che le parole non potrebbero esistere davvero se non vi fossero orecchie che ne consentissero prima la creazione e poi l’ascolto;
  • Questo spazio di coscienza racchiude in sé tutta la Creazione, ne è al tempo stesso il seme e il frutto;
  • Il dove e il quando in cui tutto accade è… qui e ora. Tutto ciò che posso davvero sapere e confermare al di là di ogni possibile dubbio è osservabile nel momento presente. Il resto è memoria o speculazione, entrambe frutto della mente e perciò non confermabili;
  • Non è possibile trovare alcuna separazione fra le singole componenti della realtà che sperimentiamo, sebbene la mente possa provvedere a inventarsi distinzioni ed etichette adatte allo scopo.

Queste affermazioni possono essere verificate facilmente da ciascuno di noi, dopo aver riconosciuto. Il che non garantisce che la mente non troverà mille argomentazioni per smentirle. Ma come avevo anticipato queste comprensioni non sono né acquisibili con gli strumenti del pensiero né adatte ad essere inserite all’interno di uno schema mentale. Eppure riconnettendoci a noi stessi possiamo provare a controllarne la veridicità con cura, confortati sia dal fatto che migliaia di mistici hanno trasmesso e mostrato queste comprensioni per millenni interi, sia da quello che ormai molte di queste stesse affermazioni siano oggetto di innumerevoli conferme scientifiche.

Ma allora se vado oltre l’apparenza io sono il momento presente? A costo di far venire qualche brivido, e consci del fatto che l’affermazione non fa che sintetizzare una Realtà molto più ricca e complessa, possiamo dire che è così.

Ecco perché tutti gli insegnamenti hanno sempre sostenuto che è così importante essere presenti, essere nel momento presente, essere consapevoli e compagnia bella. Essere nel momento presente significa essere se stessi. Con tutti i turbamenti che questo comporta, perché molto spesso ciò che c’è nel momento presente non ci piace, lo vorremmo diverso, ci provoca frustrazioni.

Ma il momento presente è la nostra vita stessa, anzi è Vita, ed essere allineati con esso è essere allineati profondamente con noi stessi. Il che, neanche a dirlo, reca con sé una pace senza confini.

Vivi respirando – Parte I – Oltre la storia di me

12 Apr

“Si, e… allora?”. Le implicazioni del riconoscerci sono davvero molto estese, in inglese si direbbero life-changing (ti cambiano la vita), ma non necessariamente evidenti sopratutto all’inizio del viaggio vero. Il percorso iniziato riconoscendo consapevolmente chi siamo serve a poter finalmente andare oltre la storia di me che ci siamo costruiti, e che troppo spesso raccontiamo a noi stessi e agli altri.

(Ce) La raccontiamo così convinti che siamo davvero, proprio fatti così, da non voler nemmeno più metterla in discussione per non sentirci stupidi, ma la realtà di noi stessi è infinitamente più vasta di quanto qualunque storia potrebbe mai raccontare, al punto che la conoscenza di sé è un viaggio infinito, in cui il meglio che si possa ottenere è la consapevolezza di quanto poco si sappia. Riprendere contatto con noi stessi inizialmente ci permette di stare semplicemente meglio, perché dal nostro spazio interiore proviene una pace di qualità molto superiore a quella cui siamo abituati – quella che dipende dalla mancanza di fastidi esterni o dalla presenza di cose che ci portano piacere; poi ci porta a muoverci allineati a noi stessi e alla vita che ci circonda, permettendole un fluire armonico. Si, avete ancora bisogno di dare fiducia a queste pagine e arrivare in fondo. Non che stia promettendo nulla, ma per avere almeno una infarinatura di quanto ci aspetta è importante non prestare il fianco al giochino della mente “mbhé?” fino a quando non si siano consolidati gli strumenti per riderne.

Per tornare all’argomento di questo paragrafo: stare con, partire dal, lo spazio di presenza che a quest’ora dovremmo aver riconosciuto consente finalmente di non scegliere più sulla base di pensieri ma di cortocircuitarli e muoverci da noi stessi. So che suona strano affidarsi a quella specie di nulla che abbiamo riconosciuto -anzi che l’autore sostiene- essere noi stessi, e genererà un numero di dubbi considerevole. Né è detto che questo accada fin da subito, ma pian piano dovremmo imparare a distinguere quando ci sentiamo e quando pensiamo di sentirci in un certo modo, e quando ci sentiamo e quando invece pensiamo di fare qualcosa.

Mille volte ci siamo trovati a non sapere che cosa fare, e ci siamo affidati ai pensieri e ai ragionamenti, ma partire da noi stessi ci fa muovere in modo radicalmente diverso, anche se i risultati sembrano errori. Questo assetto non ci impedisce di fare errori, a volte ne abbiamo bisogno per i motivi più disparati, ma eventualmente di capirli e comunque porta con sé l’allinearsi a noi stessi ed alla vita che ci circonda, ma non a sogni o incubi, nostri o di qualcun altro.

Il miglior modo che io conosca di descrivere questa differenza proviene da Osho, un mistico indiano vissuto dal 1931 fino all’inizio del 1990, che sosteneva che solo chi tiene gli occhi chiusi ha il dubbio della scelta, come un cieco ha necessità di provare e tastare con il suo bastone i muri della stanza dove è rinchiuso per trovare la porta. Colui che ha gli occhi aperti non ha quel dubbio, vede dove si trova la porta. Questo non significa che da oggi in poi sarà sufficiente riconnettersi per avere sempre le idee chiare, perché talvolta quando cerchiamo la risposta essa non è ancora giunta, ma ci salvaguarda dal muoverci su basi non allineate a noi stessi.

Vivi respirando – Parte I – Il radicamento nel corpo

4 Apr

Il corpo è il cancello. Questo corpo che sperimentiamo è l’organismo sensoriale di ciò che prima ho chiamato la nostra essenza -ma si potrebbero utilizzare molte altre etichette- che nella sua forma umana è in grado finalmente di riconoscersi, di osservarsi, di fare esperimenti su se stessa e di comprendersi. Essendo il cancello, il punto di ingresso della coscienza nella propria creazione, è molto importante. Infatti noi diamo notevole attenzione ai fenomeni che riguardano il nostro corpo: ce ne prendiamo cura, soffriamo se non sta bene, cerchiamo di arrecargli beneficio in molti modi. Però tipicamente non viviamo davvero il nostro corpo, molto raramente siamo consapevoli di ciò che gli accade, al punto che troppo spesso gli attacchi cardiaci, che prima di diventare davvero pericolosi provocano dolore per molte ore, non vengono nemmeno notati dalle vittime fino a che non arrivano ad essere pericolosi se non letali. Altrettanto sovente tendiamo a torturarlo, nel tentativo di sentirci vivi o nella convinzione che esso ci fa provare dolore.

Diventare consapevoli del corpo è fondamentale per diventare consapevoli, è un altro prerequisito indispensabile. Cosa significa diventare consapevole del proprio corpo, e come si fa? Ho già descritto in estrema sintesi un modo efficace, poco fa nel paragrafo Il Riconoscimento consapevole. Potrebbe sembrare un esercizio sterile a -sopratutto alla mente di- chi legge, eppure è la base assoluta di tutto il viaggio verso di Sé, ne costituisce le fondamenta. Quel metodo è solo uno dei tanti disponibili, e ciascuno può e forse deve trovare il proprio, sia esso una variazione di quello proposto o una alternativa.

Potrei dire che è del tutto sufficiente vivere consapevoli del proprio respiro per vivere da svegli, come lascia intuire il titolo di questo scritto. Se non si è ancora riconosciuto se stessi, seguire il proprio respiro porta senza possibilità di scampo a fare questo “passo”. Se si ha già ricevuto questo dono, tenerlo d’occhio garantisce di essere ciò che si è, di restare sintonizzati, e impedisce di perdersi nuovamente nei vecchi schemi.

Ma fare lavori sul corpo aiuta in questo processo? Si, ma senza il riconoscimento di Sé i progressi potrebbero rivelarsi non sostanziosi né duraturi. E’ pur vero che in persone molto poco in contatto con il proprio corpo potrebbe essere necessario lavorare prima su di esso per potervi “entrare” abbastanza da effettuare il riconoscimento. Ma non deve essere usato come scusa: a mio avviso la probabilità che ci si trovi davvero in una condizione del genere è nel complesso ridotta.

Come dicevamo, ciò che rimane dopo il riconoscimento, potrebbe esser descritto con parole come “un grande silenzio”, “un grande spazio”, “pace”, “presenza”. Non vi siamo per nulla abituati, quindi è frequentissimo che quel simpatico meccanismo generatore di pensieri chiamato mente, “lo” svaluti, cerchi di riprodurre la sensazione o le sensazioni che esso genera, o di appropriarsene. Fa tutto parte del processo. L’importante è riconnettersi al corpo ogni qualvolta ci si renda conto che questo avviene, con pazienza e fiducia. La mente ha creato nel corso della nostra esistenza miliardi di pensieri, quindi non è ragionevole attendersi che smetta di botto e si arrenda al silenzio assordante che si cela dentro di noi. Ma ritornare con l’attenzione nel corpo, e osservare il momento presente con tutto quello che c’è dentro di noi e fuori, ne neutralizza l’impatto. Basta davvero un bel respiro consapevole. Anche se in momenti difficili potrebbe dover essere ripetuto spesso.

Ad essere onesti questo lavoro va fatto -anche perché è possibile farlo solamente- ora. Non c’è alcun bisogno di preoccuparsi di quanto accadrà in futuro.

Vivi respirando – Parte I – Io

2 Apr

Quando vai davvero ad indagare fino in fondo, questo spazio è la tua realtà essenziale. E’ ciò che precede ogni idea di te, ogni manifestazione fisica di te, ogni sensazione. Questo spazio e questa consapevolezza che -sempre con parole imperfette- potrebbe essere anche descritta come l’”Io Sono”, l’Io che precede ogni altra cosa. Attenzione, perché la stessa parola Io ti disconnette dalla realtà dell’Io, e queste descrizioni cercano solo di indicare. Non è possibile ridurre in alcun modo a parole la Realtà, ma nella migliore delle ipotesi dare una indicazione. Come se dovessimo spiegare cos’è l’amore a qualcuno che non lo avesse mai sperimentato: nemmeno qui si può fare molto, eppure indicando certi dettagli si può permettere di notare qualcosa che c’è e c’è sempre stato, ma è passato inosservato o è stato ignorato.  Mai fatto caso al fatto che diverse fra le cose più importanti della nostra vita hanno questa caratteristica di invisibilità e di descrivibilità decisamente scarsa? Amicizia e amore sono le due principali.

 

Qualsiasi tentativo -e ne avverranno moltissimi- di capire, trasformare in una idea o in una struttura di comprensione, di impossessarsi di questa consapevolezza di se, te la fa perdere. Qualcuno descrisse questi inevitabili e ripetuti tentativi come quelli di una mano che cerca di afferrare l’aria, e che chiudendosi la fa uscire inevitabilmente dalla propria portata.

Vale la pena notare che questa apertura, questo sentire, sono spesso descritti come “essere presente” da chi ha praticato meditazione o attività simili. Una delle conseguenze di queste pratiche è che una volta che la abbiamo sperimentata in qualche modo acquisiamo la capacità di notare quando non siamo presenti. Purtroppo però invece di notarlo semplicemente, e altrettanto semplicemente restare sintonizzati con il nostro spazio di presenza appena ri-acquisito, di solito elaboriamo immediatamente un pensiero o un giudizio sull’argomento: appare qualcosa come “ecco, vedi, adesso non ero presente”. Quel che succede in questo caso è che la nostra presenza è entrata dalla porta principale, accorgendosi del non “esserci”, per poi esser buttata fuori dalla finestra, da quegli stessi pensieri che discutono di presenza e assenza. Questo dialogo spirituale interiore rientra nella schiera di fenomeni descritti con l’espressione “Ego spirituale”, che è una forma anche più subdola -proprio perché in apparenza saggia- di ego.