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Non è che per caso attribuisci la gioia “ingiustificata” a stupidità, vero?

13 Set

Non so come mai la scorsa notte mi abbia portato questa domanda e spinto a risponderle. Forse perché in tempi passati e meno allegri certe abbondanze di felicità c’erano, ma mi chiedevo per quale motivo le avrei dovute avere e chissà quante volte, invece di godermele, esserne contento e ringraziare, me le facevo passare.

Forse non ci sarebbe bisogno di dirlo, ma per un istante lo faccio lo stesso: la gioia è perfettamente giustificata, sempre. Lo è per milioni di motivi. Li potrei elencare, partendo dal fatto che sei vivo, che puoi leggere queste parole, che probabilmente puoi dire quanto vuoi bene alle persone che ami, che puoi camminare (mai provato a stare senza per qualche giorno o qualche mese?), che puoi prendere qualcosa con le tue mani e potrei ovviamente andare avanti in eterno.

“Ma come, e tutta l’infelicità che mi circonda?” Tesoro, tu non sai né quanta sia, nè perchè ci sia. Quanto al primo argomento, se chiedi a chi vive negli slum di Calcutta o di Rio se è felice o meno hai praticamente le stesse risposte che nei quartieri alti di Milano o New York, forse perfino meglio. Se poi lo chiedi a un bambino di 10 anni… puoi star certo che le percentuali migliori le hanno loro. Quanto al secondo argomento, sono costretto a fare una piccola premessa sul mio personale punto di vista: questa esperienza di vita ha uno scopo ben preciso, crescere. Il “male”, per usare un gergo cattolico ma potrei usarne un altro, è il dono che Dio ti sta facendo perché tu possa crescere, e molto. Mi rendo conto che potrebbe non esser facile da accettare o da vedere, ma il vederlo lo rende molto più accettabile.
Madre Teresa, nel corso di una intervista alla BBC, si sentì dire “Sa, Madre, è facile per lei essere dedicata al servizio più di noi, comuni mortali. Lei non possiede una casa. Non ha possedimenti. Non ha una macchina. Non possiede una assicurazione. Non ha nemmeno un marito.” Madre Teresa rispose: “Mi perdoni. Io ho un marito.– mostrando l’anello che il suo ordine monastico porta per simboleggiare il matrimonio con il Cristo– Ho un marito, e vorrei che lei sapesse che Egli può essere un tipo davvero difficile in certi momenti.”

“Ma io sto male!” Ok, mi dispiace sentirlo. Posso farti una domanda? Perché stai male? Ovviamente la risposta non mi interessa –no, non sono impazzito– ma interessa te. Non ti consiglio di rispondere subito, però. Ti consiglio invece di sederti sulla domanda, magari dormirci anche sopra, e di lasciare che ti scavi dentro fino a che riesce. In gergo ti dovrei dire meditaci sopra. Le risposte che troverai ti sorprenderanno e potrebbero perfino cambiarti.

Un piccolo caveat aggiuntivo.
Facciamo finta per un attimo che la Vita sia la mamma. Una mamma che -come tutte le mamme- è davvero amorevole ma non sa leggere nel pensiero. Come fa a sapere che cosa desideri?
Se ti stessi parlando adesso bisbiglierei: “Glielo devi far capire”. Come? Ringraziando. La gratitudine per tutto ciò che ti dona, che è molto, la predispone a darti anche di più, ma sopratutto le fa sapere che cosa ti piace, che cosa ti muove, che cosa ti entusiasma e che cosa ti rende felice.
Il famoso libro “The Secret” contiene tante sciocchezze ma anche qualche verità. Il potere di creare la nostra realtà lo abbiamo, ma pertiene alla profondità di noi stessi, non alla nostra mente, spesso sciocchina. Ciò che ci muove davvero è ciò che crea la nostra realtà. Ecco perché ci sono molte persone magari non del tutto degne che sono ricchissime. Sono oneste e molto chiare nei confronti della vita (magari solo di quest’ultima, ma è sufficiente), che ama loro esattamente come noi, e li esaudisce.

Sei tu!

8 Mag

Questa mattina mi si è presentato un tema noto, un vecchio conoscente, che una persona cara ha riportato da me. Quest’ultima ha lamentato qualcosa tipo “ma io voglio sapere davvero chi sono, voglio che resti!”

E’ forse il lamento, la sofferenza più frequente che viene da quanti abbiano sperimentato una qualche forma di risveglio. E’ ancora più significativo se per la persona ci sono stati effetti speciali, cioè se il riconoscimento di Sé è avvenuto con qualche esperienza particolare, magari molto piacevole.
La risposta che mi ha attraversato questa mattina la ho trovata molto interessante, e ho pensato di riportarla.

“Vedi, tu sei come una bambina che abbia visto se stessa dentro uno specchio. La prima volta che questo è accaduto hai provato un intenso stupore, una meraviglia.  Il riconoscere te stessa in quello specchio ha cambiato radicalmente la percezione che avevi di te stessa, e per sempre.”

Adesso sai che aspetto hai. Nell’incontrare quello specchio, sono però accadute due cose, non una sola. La prima è stato vederti per la prima volta e riconoscere che, certo, sei tu! La seconda è stata trasformare la percezione di te stessa. Si perché una volta che ti sei vista per quello che sei potresti ancora fare finta di essere qualcun altro –e chi te lo potrebbe impedire?– ma non sarà mai più come prima, perché la rivelazione non può essere disfatta. E’ un po come un consorte che abbia trovato il suo partner con qualcun altro: qualcosa cambia per sempre. Puoi scegliere di andare avanti, che so, di perdonare o accettare la situazione, ma non è possibile non farci i conti, nemmeno per i più tenaci negazionisti.

Una volta acquisito quanto sopra, tu ricominci ad andare in giro per il mondo e a giocare con quel che la vita ti propone. Puoi rimetterti di fronte ad uno specchio quando vuoi, ma sarebbe sciocco sia l’aspettarsi che lo specchio ti segua, che di trovarne uno ad ogni angolo. Diciamola tutta: non sarebbe sciocco anche pretendere di meravigliarsi e provare la stessa emozione che si è provato la prima volta, ogni qualvolta ricapiti di trovarci in bagno o nel camerino di un negozio, magari dopo anni e cresciute assai?

Questo non toglie nulla alla meraviglia di chi sei tu, anzi. Siccome chi sei tu davvero non ha confini, se non commetti nemmeno l’errore di incelofanare o cristallizzare quello che hai ricevuto, continuerà a stupirti giorno dopo giorno. Le tue reazioni ti stupiranno, la tua capacità di intuire, di comprendere, le tue azioni. Però questo può accadere se e solo se smetti di vivere sigillato nella recita. Se ripeti sempre le stesse azioni generate dai tuoi programmi, magari un tantino obsoleti, i risultati non cambieranno.

A cosa serve scoprire di essere ricco come Creso se poi ti comporti come uno sguattero?

In che cosa consiste lo smettere di recitare? Cominciare ad ascoltare ciò che si muove dentro di te, o nello smettere di ignorarlo.  Nell’imparare a discriminare fra i pensieri e ciò che viene dal profondo di te. Nel prendersi il rischio di ciò che proviene da dentro di te, senza imporlo a nessuno ma onorandolo tu per primo/a, se necessario condividendolo, prendendoti anche la responsabilità del regalo che hai ricevuto, e onorando il fatto che è un grande privilegio. Con il tempo diventare sempre più bravi a fare tutte queste cose.

A 18 anni quasi tutti prendiamo la patente, e la libertà che ne consegue è un dono meraviglioso, ma viene con molte responsabilità. Da quel giorno comincia il viaggio, e pian piano ci facciamo carico di imparare davvero tutto quel che serve per muoverci, e da allora in poi chi sa guidare bene sa che non smetterà mai di imparare, sopratutto se vuole viaggiare in posti nuovi, ognuno dei quali presenta cose da comprendere per non fare incidenti né prendere multe.

Il dono della Grazia ha anche lui moltissime responsabilità collegate. Ma chi si sognerebbe di tornare indietro?

Agricolture spirituali

23 Mar

Di questo si tratta…. Non è esattamente un lavoro, non è una cosa particolarmente cool, non si può negare che la faccia eppure è evidente che non sia io a farla, come un agricoltore sarebbe ridicolo se affermasse “le mie piante le faccio crescere io”. Non è così, eppure qualcosa fa.

La metafora che mi è arrivata questa mattina mi è parsa molto accurata: la spiritualità ha molte similitudini con l’agricoltura. Qualcuno potrebbe sperare con il giardinaggio, ma purtroppo no, proprio l’agricoltura. Nella spiritualità lo sforzo quando c’è è considerevole, e ci si deve sporcare le mani. Niente guantini protettivi, quantomeno a volte bisogna proprio toglierseli. Nell’agricoltura ti metti in gioco, in un certo senso ne va della tua sopravvivenza, se le tue piante muoiono rischi in prima persona, più del semplice umore. Raramente puoi partire acquistando qualcosa di pronto. Se avviene di solito il prezzo e la preparazione li hai già affrontati in precedenza, magari in maniera non formale ma del tutto sostanziale. Non si arriva alla spiritualità vera senza aver pagato un prezzo importante, senza avere -per un motivo o un altro- compreso che questo aspetto della propria vita è assolutamente centrale. Non è, e non può essere, un hobby. Deve essere un lavoro? Se lo chiedi a me temo di si, anche se nulla ti impedisce di averne un secondo! Quantomeno l’intensità dell’impegno deve essere quella, e per quel che ne so anche la centralità del tema. Intendiamoci, si può vivere molto bene anche occupandosene un (bel?) po’, ma senza arrivare a quel punto. In fondo non è detto che il lavoro che siamo venuti per fare debba essere completato in questa vita, e ciascuno deve sentire che cosa è giusto per se. Se ad un certo punto tu che leggi ti sei posto il problema di “risolvere definitivamente” questa vita, nel senso di arrivare in fondo, temo non ci sia possibilità: lo sforzo che ti sarà richiesto sarà totale.

Però è importante anche sapere che la parte difficile, proprio come per un agricoltore, non sarai tu a farla. Il vero miracolo lo faranno il sole, la pioggia, la terra, il vento, qualche sconosciuto animale o insetto, e avverrà nella profondità più nascosta. Lo farà la Vita. Tu devi solo presentarti sui tuoi campi. Giorno dopo giorno. Fare ciò che è necessario, cosa che peraltro a volte richiederà un investimento, oppure molto impegno, o magari una preparazione specifica e profonda. Lo vedi, lo senti, di solito lo sai, proprio come un agricoltore: se si è appena comprato il campo sa che dovrà ararlo un bel po’. Se ha appena seminato, sa che dovrà irrigare. Se non sa che cosa deve fare, si va a cercare un consiglio, da un amico o da un professionista. “Ma mi serve una guida, un maestro?” Questa è una domanda importante, che avrebbe bisogno di un trattamento a parte. Se mi dovessero puntare una pistola alla testa chiedendo una risposta immediata e definitiva risponderei di si, ma in un certo senso questa risposta soggiace anche lei a quanto letto poco fa: lo vedi, lo senti, di solito lo sai. E quando sei pronto, ti trova.