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Sei tu!

8 Mag

Questa mattina mi si è presentato un tema noto, un vecchio conoscente, che una persona cara ha riportato da me. Quest’ultima ha lamentato qualcosa tipo “ma io voglio sapere davvero chi sono, voglio che resti!”

E’ forse il lamento, la sofferenza più frequente che viene da quanti abbiano sperimentato una qualche forma di risveglio. E’ ancora più significativo se per la persona ci sono stati effetti speciali, cioè se il riconoscimento di Sé è avvenuto con qualche esperienza particolare, magari molto piacevole.
La risposta che mi ha attraversato questa mattina la ho trovata molto interessante, e ho pensato di riportarla.

“Vedi, tu sei come una bambina che abbia visto se stessa dentro uno specchio. La prima volta che questo è accaduto hai provato un intenso stupore, una meraviglia.  Il riconoscere te stessa in quello specchio ha cambiato radicalmente la percezione che avevi di te stessa, e per sempre.”

Adesso sai che aspetto hai. Nell’incontrare quello specchio, sono però accadute due cose, non una sola. La prima è stato vederti per la prima volta e riconoscere che, certo, sei tu! La seconda è stata trasformare la percezione di te stessa. Si perché una volta che ti sei vista per quello che sei potresti ancora fare finta di essere qualcun altro –e chi te lo potrebbe impedire?– ma non sarà mai più come prima, perché la rivelazione non può essere disfatta. E’ un po come un consorte che abbia trovato il suo partner con qualcun altro: qualcosa cambia per sempre. Puoi scegliere di andare avanti, che so, di perdonare o accettare la situazione, ma non è possibile non farci i conti, nemmeno per i più tenaci negazionisti.

Una volta acquisito quanto sopra, tu ricominci ad andare in giro per il mondo e a giocare con quel che la vita ti propone. Puoi rimetterti di fronte ad uno specchio quando vuoi, ma sarebbe sciocco sia l’aspettarsi che lo specchio ti segua, che di trovarne uno ad ogni angolo. Diciamola tutta: non sarebbe sciocco anche pretendere di meravigliarsi e provare la stessa emozione che si è provato la prima volta, ogni qualvolta ricapiti di trovarci in bagno o nel camerino di un negozio, magari dopo anni e cresciute assai?

Questo non toglie nulla alla meraviglia di chi sei tu, anzi. Siccome chi sei tu davvero non ha confini, se non commetti nemmeno l’errore di incelofanare o cristallizzare quello che hai ricevuto, continuerà a stupirti giorno dopo giorno. Le tue reazioni ti stupiranno, la tua capacità di intuire, di comprendere, le tue azioni. Però questo può accadere se e solo se smetti di vivere sigillato nella recita. Se ripeti sempre le stesse azioni generate dai tuoi programmi, magari un tantino obsoleti, i risultati non cambieranno.

A cosa serve scoprire di essere ricco come Creso se poi ti comporti come uno sguattero?

In che cosa consiste lo smettere di recitare? Cominciare ad ascoltare ciò che si muove dentro di te, o nello smettere di ignorarlo.  Nell’imparare a discriminare fra i pensieri e ciò che viene dal profondo di te. Nel prendersi il rischio di ciò che proviene da dentro di te, senza imporlo a nessuno ma onorandolo tu per primo/a, se necessario condividendolo, prendendoti anche la responsabilità del regalo che hai ricevuto, e onorando il fatto che è un grande privilegio. Con il tempo diventare sempre più bravi a fare tutte queste cose.

A 18 anni quasi tutti prendiamo la patente, e la libertà che ne consegue è un dono meraviglioso, ma viene con molte responsabilità. Da quel giorno comincia il viaggio, e pian piano ci facciamo carico di imparare davvero tutto quel che serve per muoverci, e da allora in poi chi sa guidare bene sa che non smetterà mai di imparare, sopratutto se vuole viaggiare in posti nuovi, ognuno dei quali presenta cose da comprendere per non fare incidenti né prendere multe.

Il dono della Grazia ha anche lui moltissime responsabilità collegate. Ma chi si sognerebbe di tornare indietro?

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Agricolture spirituali

23 Mar

Di questo si tratta…. Non è esattamente un lavoro, non è una cosa particolarmente cool, non si può negare che la faccia eppure è evidente che non sia io a farla, come un agricoltore sarebbe ridicolo se affermasse “le mie piante le faccio crescere io”. Non è così, eppure qualcosa fa.

La metafora che mi è arrivata questa mattina mi è parsa molto accurata: la spiritualità ha molte similitudini con l’agricoltura. Qualcuno potrebbe sperare con il giardinaggio, ma purtroppo no, proprio l’agricoltura. Nella spiritualità lo sforzo quando c’è è considerevole, e ci si deve sporcare le mani. Niente guantini protettivi, quantomeno a volte bisogna proprio toglierseli. Nell’agricoltura ti metti in gioco, in un certo senso ne va della tua sopravvivenza, se le tue piante muoiono rischi in prima persona, più del semplice umore. Raramente puoi partire acquistando qualcosa di pronto. Se avviene di solito il prezzo e la preparazione li hai già affrontati in precedenza, magari in maniera non formale ma del tutto sostanziale. Non si arriva alla spiritualità vera senza aver pagato un prezzo importante, senza avere -per un motivo o un altro- compreso che questo aspetto della propria vita è assolutamente centrale. Non è, e non può essere, un hobby. Deve essere un lavoro? Se lo chiedi a me temo di si, anche se nulla ti impedisce di averne un secondo! Quantomeno l’intensità dell’impegno deve essere quella, e per quel che ne so anche la centralità del tema. Intendiamoci, si può vivere molto bene anche occupandosene un (bel?) po’, ma senza arrivare a quel punto. In fondo non è detto che il lavoro che siamo venuti per fare debba essere completato in questa vita, e ciascuno deve sentire che cosa è giusto per se. Se ad un certo punto tu che leggi ti sei posto il problema di “risolvere definitivamente” questa vita, nel senso di arrivare in fondo, temo non ci sia possibilità: lo sforzo che ti sarà richiesto sarà totale.

Però è importante anche sapere che la parte difficile, proprio come per un agricoltore, non sarai tu a farla. Il vero miracolo lo faranno il sole, la pioggia, la terra, il vento, qualche sconosciuto animale o insetto, e avverrà nella profondità più nascosta. Lo farà la Vita. Tu devi solo presentarti sui tuoi campi. Giorno dopo giorno. Fare ciò che è necessario, cosa che peraltro a volte richiederà un investimento, oppure molto impegno, o magari una preparazione specifica e profonda. Lo vedi, lo senti, di solito lo sai, proprio come un agricoltore: se si è appena comprato il campo sa che dovrà ararlo un bel po’. Se ha appena seminato, sa che dovrà irrigare. Se non sa che cosa deve fare, si va a cercare un consiglio, da un amico o da un professionista. “Ma mi serve una guida, un maestro?” Questa è una domanda importante, che avrebbe bisogno di un trattamento a parte. Se mi dovessero puntare una pistola alla testa chiedendo una risposta immediata e definitiva risponderei di si, ma in un certo senso questa risposta soggiace anche lei a quanto letto poco fa: lo vedi, lo senti, di solito lo sai. E quando sei pronto, ti trova.

Scendere fino alla radice

28 Ago

2013 08 28 la memoria

Questa immagine mi ha dato una visualizzazione grafica di una sensazione che avevo da tempo: le implicazioni di una nostra convinzione. Quando cominciamo a svegliarci, o magari anche solo a fare del lavoro psicologico, ci rendiamo conto che una serie a volte anche molto ampia di nostre reazioni o paure è imparentata fra loro. In realtà questa immagine ci potrebbe far inferire che lo sono tutte.

Il lavoro di stare con la sensazione del momento serve a portarci indietro, lungo il ramo che è venuto fuori ora. Più in profondità riusciamo a seguire quella sensazione, più ci avviciniamo all’origine di quella famiglia di reazioni e paure, e più la liberiamo. Come se vivessimo con un paio di occhiali con le lenti coperte da più pellicole, appiccicate l’una sull’altra e magari un po’ sporche: stare con la sensazione equivale a renderci conto che quella è una pellicola inutile, che non ha ragione di stare lì. Spesso stare con una sensazione non ci consente di arrivare subito alla radice della convinzione o della paura, ma pellicola dopo pellicola arrivo alla lente. Potrei perfino accorgermi che nemmeno l’occhiale ha ragione di essere.

Dopo essere stato con la prima reazione di paura, se non sgomento, che questa immagine mi ha inizialmente fatto emergere, ho trovato molto positiva la intuizione che che un ramo qualsiasi di questa struttura ti può portare al centro, al nucleo. Non c’è bisogno di occuparsi di ciascun ramo, c’è bisogno di seguire il percorso verso il nucleo, per svelare l’arcano.

In effetti da molte parti nella spiritualità si menziona il fatto che l’unica cosa da rimuovere è l’identificazione con il falso sè. Già, purtroppo si omette spesso di dire che quest’ultima è estremamente ben radicata, ed il rendersi conto intellettualmente che questa identificazione sia falsa -che vale la pena di ricordare: è la convinzione di essere qualcuno o qualcosa di diverso da ciò che siamo davvero- porta dei benefici, ma non ci libera.
La prima comprensione però, che poco fa ho chiamato intellettuale ma può essere anche più profonda, ci permette di renderci conto e di prepararci all’esplorazione che porta alla liberazione.

Il gioco consiste nel seguire indietro la sensazione che emerge, tracciandola nel corpo (tenete presente che molte sensazioni si presentano dentro la testa), e nello stare con essa fino a che permane, possibilmente senza perderla mai. Ogni sensazione ha il potere di riportarci alla pace, e questo è quello che avviene se abbiamo il coraggio di seguirla. Nel tempo noteremo che mano a mano che seguiamo le sensazioni, lo spazio di pace si espande. Come se nel seguire le sensazioni -ed è esattamente questo quello che avviene- esplorassimo il territorio e lo liberassimo.

Una nota importante: il motivo per cui di solito scappiamo dalle sensazioni è che siamo terrorizzati da ciò che esse tipicamente scatenano, cioè la ridda di paure, pensieri, ipotesi e conclusioni immaginarie che ci fa stare male. Restare con la *sensazione fisica* impedisce quella reazione, e taglia sul nascere la connessione fra l’emozione e i voli pindarici cui la mente ci ha abituati.

E’ un modo diverso di descrivere quanto esposto nell’articolo porta la torcia in giro per la tua caverna, ma il concetto è il medesimo….

Una ultima osservazione: liberazione non significa non provare più sensazioni spiacevoli. La differenza sta solo in che cosa facciamo con le sensazioni che emergono.

Immagine: courtesy of https://www.facebook.com/FansOfCognitiveNeuroscience

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