“Si, e… allora?”. Le implicazioni del riconoscerci sono davvero molto estese, in inglese si direbbero life-changing (ti cambiano la vita), ma non necessariamente evidenti sopratutto all’inizio del viaggio vero. Il percorso iniziato riconoscendo consapevolmente chi siamo serve a poter finalmente andare oltre la storia di me che ci siamo costruiti, e che troppo spesso raccontiamo a noi stessi e agli altri.
(Ce) La raccontiamo così convinti che siamo davvero, proprio fatti così, da non voler nemmeno più metterla in discussione per non sentirci stupidi, ma la realtà di noi stessi è infinitamente più vasta di quanto qualunque storia potrebbe mai raccontare, al punto che la conoscenza di sé è un viaggio infinito, in cui il meglio che si possa ottenere è la consapevolezza di quanto poco si sappia. Riprendere contatto con noi stessi inizialmente ci permette di stare semplicemente meglio, perché dal nostro spazio interiore proviene una pace di qualità molto superiore a quella cui siamo abituati – quella che dipende dalla mancanza di fastidi esterni o dalla presenza di cose che ci portano piacere; poi ci porta a muoverci allineati a noi stessi e alla vita che ci circonda, permettendole un fluire armonico. Si, avete ancora bisogno di dare fiducia a queste pagine e arrivare in fondo. Non che stia promettendo nulla, ma per avere almeno una infarinatura di quanto ci aspetta è importante non prestare il fianco al giochino della mente “mbhé?” fino a quando non si siano consolidati gli strumenti per riderne.
Per tornare all’argomento di questo paragrafo: stare con, partire dal, lo spazio di presenza che a quest’ora dovremmo aver riconosciuto consente finalmente di non scegliere più sulla base di pensieri ma di cortocircuitarli e muoverci da noi stessi. So che suona strano affidarsi a quella specie di nulla che abbiamo riconosciuto -anzi che l’autore sostiene- essere noi stessi, e genererà un numero di dubbi considerevole. Né è detto che questo accada fin da subito, ma pian piano dovremmo imparare a distinguere quando ci sentiamo e quando pensiamo di sentirci in un certo modo, e quando ci sentiamo e quando invece pensiamo di fare qualcosa.
Mille volte ci siamo trovati a non sapere che cosa fare, e ci siamo affidati ai pensieri e ai ragionamenti, ma partire da noi stessi ci fa muovere in modo radicalmente diverso, anche se i risultati sembrano errori. Questo assetto non ci impedisce di fare errori, a volte ne abbiamo bisogno per i motivi più disparati, ma eventualmente di capirli e comunque porta con sé l’allinearsi a noi stessi ed alla vita che ci circonda, ma non a sogni o incubi, nostri o di qualcun altro.
Il miglior modo che io conosca di descrivere questa differenza proviene da Osho, un mistico indiano vissuto dal 1931 fino all’inizio del 1990, che sosteneva che solo chi tiene gli occhi chiusi ha il dubbio della scelta, come un cieco ha necessità di provare e tastare con il suo bastone i muri della stanza dove è rinchiuso per trovare la porta. Colui che ha gli occhi aperti non ha quel dubbio, vede dove si trova la porta. Questo non significa che da oggi in poi sarà sufficiente riconnettersi per avere sempre le idee chiare, perché talvolta quando cerchiamo la risposta essa non è ancora giunta, ma ci salvaguarda dal muoverci su basi non allineate a noi stessi.
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