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Non è che per caso attribuisci la gioia “ingiustificata” a stupidità, vero?

13 Set

Non so come mai la scorsa notte mi abbia portato questa domanda e spinto a risponderle. Forse perché in tempi passati e meno allegri certe abbondanze di felicità c’erano, ma mi chiedevo per quale motivo le avrei dovute avere e chissà quante volte, invece di godermele, esserne contento e ringraziare, me le facevo passare.

Forse non ci sarebbe bisogno di dirlo, ma per un istante lo faccio lo stesso: la gioia è perfettamente giustificata, sempre. Lo è per milioni di motivi. Li potrei elencare, partendo dal fatto che sei vivo, che puoi leggere queste parole, che probabilmente puoi dire quanto vuoi bene alle persone che ami, che puoi camminare (mai provato a stare senza per qualche giorno o qualche mese?), che puoi prendere qualcosa con le tue mani e potrei ovviamente andare avanti in eterno.

“Ma come, e tutta l’infelicità che mi circonda?” Tesoro, tu non sai né quanta sia, nè perchè ci sia. Quanto al primo argomento, se chiedi a chi vive negli slum di Calcutta o di Rio se è felice o meno hai praticamente le stesse risposte che nei quartieri alti di Milano o New York, forse perfino meglio. Se poi lo chiedi a un bambino di 10 anni… puoi star certo che le percentuali migliori le hanno loro. Quanto al secondo argomento, sono costretto a fare una piccola premessa sul mio personale punto di vista: questa esperienza di vita ha uno scopo ben preciso, crescere. Il “male”, per usare un gergo cattolico ma potrei usarne un altro, è il dono che Dio ti sta facendo perché tu possa crescere, e molto. Mi rendo conto che potrebbe non esser facile da accettare o da vedere, ma il vederlo lo rende molto più accettabile.
Madre Teresa, nel corso di una intervista alla BBC, si sentì dire “Sa, Madre, è facile per lei essere dedicata al servizio più di noi, comuni mortali. Lei non possiede una casa. Non ha possedimenti. Non ha una macchina. Non possiede una assicurazione. Non ha nemmeno un marito.” Madre Teresa rispose: “Mi perdoni. Io ho un marito.– mostrando l’anello che il suo ordine monastico porta per simboleggiare il matrimonio con il Cristo– Ho un marito, e vorrei che lei sapesse che Egli può essere un tipo davvero difficile in certi momenti.”

“Ma io sto male!” Ok, mi dispiace sentirlo. Posso farti una domanda? Perché stai male? Ovviamente la risposta non mi interessa –no, non sono impazzito– ma interessa te. Non ti consiglio di rispondere subito, però. Ti consiglio invece di sederti sulla domanda, magari dormirci anche sopra, e di lasciare che ti scavi dentro fino a che riesce. In gergo ti dovrei dire meditaci sopra. Le risposte che troverai ti sorprenderanno e potrebbero perfino cambiarti.

Un piccolo caveat aggiuntivo.
Facciamo finta per un attimo che la Vita sia la mamma. Una mamma che -come tutte le mamme- è davvero amorevole ma non sa leggere nel pensiero. Come fa a sapere che cosa desideri?
Se ti stessi parlando adesso bisbiglierei: “Glielo devi far capire”. Come? Ringraziando. La gratitudine per tutto ciò che ti dona, che è molto, la predispone a darti anche di più, ma sopratutto le fa sapere che cosa ti piace, che cosa ti muove, che cosa ti entusiasma e che cosa ti rende felice.
Il famoso libro “The Secret” contiene tante sciocchezze ma anche qualche verità. Il potere di creare la nostra realtà lo abbiamo, ma pertiene alla profondità di noi stessi, non alla nostra mente, spesso sciocchina. Ciò che ci muove davvero è ciò che crea la nostra realtà. Ecco perché ci sono molte persone magari non del tutto degne che sono ricchissime. Sono oneste e molto chiare nei confronti della vita (magari solo di quest’ultima, ma è sufficiente), che ama loro esattamente come noi, e li esaudisce.

Sei tu!

8 Mag

Questa mattina mi si è presentato un tema noto, un vecchio conoscente, che una persona cara ha riportato da me. Quest’ultima ha lamentato qualcosa tipo “ma io voglio sapere davvero chi sono, voglio che resti!”

E’ forse il lamento, la sofferenza più frequente che viene da quanti abbiano sperimentato una qualche forma di risveglio. E’ ancora più significativo se per la persona ci sono stati effetti speciali, cioè se il riconoscimento di Sé è avvenuto con qualche esperienza particolare, magari molto piacevole.
La risposta che mi ha attraversato questa mattina la ho trovata molto interessante, e ho pensato di riportarla.

“Vedi, tu sei come una bambina che abbia visto se stessa dentro uno specchio. La prima volta che questo è accaduto hai provato un intenso stupore, una meraviglia.  Il riconoscere te stessa in quello specchio ha cambiato radicalmente la percezione che avevi di te stessa, e per sempre.”

Adesso sai che aspetto hai. Nell’incontrare quello specchio, sono però accadute due cose, non una sola. La prima è stato vederti per la prima volta e riconoscere che, certo, sei tu! La seconda è stata trasformare la percezione di te stessa. Si perché una volta che ti sei vista per quello che sei potresti ancora fare finta di essere qualcun altro –e chi te lo potrebbe impedire?– ma non sarà mai più come prima, perché la rivelazione non può essere disfatta. E’ un po come un consorte che abbia trovato il suo partner con qualcun altro: qualcosa cambia per sempre. Puoi scegliere di andare avanti, che so, di perdonare o accettare la situazione, ma non è possibile non farci i conti, nemmeno per i più tenaci negazionisti.

Una volta acquisito quanto sopra, tu ricominci ad andare in giro per il mondo e a giocare con quel che la vita ti propone. Puoi rimetterti di fronte ad uno specchio quando vuoi, ma sarebbe sciocco sia l’aspettarsi che lo specchio ti segua, che di trovarne uno ad ogni angolo. Diciamola tutta: non sarebbe sciocco anche pretendere di meravigliarsi e provare la stessa emozione che si è provato la prima volta, ogni qualvolta ricapiti di trovarci in bagno o nel camerino di un negozio, magari dopo anni e cresciute assai?

Questo non toglie nulla alla meraviglia di chi sei tu, anzi. Siccome chi sei tu davvero non ha confini, se non commetti nemmeno l’errore di incelofanare o cristallizzare quello che hai ricevuto, continuerà a stupirti giorno dopo giorno. Le tue reazioni ti stupiranno, la tua capacità di intuire, di comprendere, le tue azioni. Però questo può accadere se e solo se smetti di vivere sigillato nella recita. Se ripeti sempre le stesse azioni generate dai tuoi programmi, magari un tantino obsoleti, i risultati non cambieranno.

A cosa serve scoprire di essere ricco come Creso se poi ti comporti come uno sguattero?

In che cosa consiste lo smettere di recitare? Cominciare ad ascoltare ciò che si muove dentro di te, o nello smettere di ignorarlo.  Nell’imparare a discriminare fra i pensieri e ciò che viene dal profondo di te. Nel prendersi il rischio di ciò che proviene da dentro di te, senza imporlo a nessuno ma onorandolo tu per primo/a, se necessario condividendolo, prendendoti anche la responsabilità del regalo che hai ricevuto, e onorando il fatto che è un grande privilegio. Con il tempo diventare sempre più bravi a fare tutte queste cose.

A 18 anni quasi tutti prendiamo la patente, e la libertà che ne consegue è un dono meraviglioso, ma viene con molte responsabilità. Da quel giorno comincia il viaggio, e pian piano ci facciamo carico di imparare davvero tutto quel che serve per muoverci, e da allora in poi chi sa guidare bene sa che non smetterà mai di imparare, sopratutto se vuole viaggiare in posti nuovi, ognuno dei quali presenta cose da comprendere per non fare incidenti né prendere multe.

Il dono della Grazia ha anche lui moltissime responsabilità collegate. Ma chi si sognerebbe di tornare indietro?

Agricolture spirituali

23 Mar

Di questo si tratta…. Non è esattamente un lavoro, non è una cosa particolarmente cool, non si può negare che la faccia eppure è evidente che non sia io a farla, come un agricoltore sarebbe ridicolo se affermasse “le mie piante le faccio crescere io”. Non è così, eppure qualcosa fa.

La metafora che mi è arrivata questa mattina mi è parsa molto accurata: la spiritualità ha molte similitudini con l’agricoltura. Qualcuno potrebbe sperare con il giardinaggio, ma purtroppo no, proprio l’agricoltura. Nella spiritualità lo sforzo quando c’è è considerevole, e ci si deve sporcare le mani. Niente guantini protettivi, quantomeno a volte bisogna proprio toglierseli. Nell’agricoltura ti metti in gioco, in un certo senso ne va della tua sopravvivenza, se le tue piante muoiono rischi in prima persona, più del semplice umore. Raramente puoi partire acquistando qualcosa di pronto. Se avviene di solito il prezzo e la preparazione li hai già affrontati in precedenza, magari in maniera non formale ma del tutto sostanziale. Non si arriva alla spiritualità vera senza aver pagato un prezzo importante, senza avere -per un motivo o un altro- compreso che questo aspetto della propria vita è assolutamente centrale. Non è, e non può essere, un hobby. Deve essere un lavoro? Se lo chiedi a me temo di si, anche se nulla ti impedisce di averne un secondo! Quantomeno l’intensità dell’impegno deve essere quella, e per quel che ne so anche la centralità del tema. Intendiamoci, si può vivere molto bene anche occupandosene un (bel?) po’, ma senza arrivare a quel punto. In fondo non è detto che il lavoro che siamo venuti per fare debba essere completato in questa vita, e ciascuno deve sentire che cosa è giusto per se. Se ad un certo punto tu che leggi ti sei posto il problema di “risolvere definitivamente” questa vita, nel senso di arrivare in fondo, temo non ci sia possibilità: lo sforzo che ti sarà richiesto sarà totale.

Però è importante anche sapere che la parte difficile, proprio come per un agricoltore, non sarai tu a farla. Il vero miracolo lo faranno il sole, la pioggia, la terra, il vento, qualche sconosciuto animale o insetto, e avverrà nella profondità più nascosta. Lo farà la Vita. Tu devi solo presentarti sui tuoi campi. Giorno dopo giorno. Fare ciò che è necessario, cosa che peraltro a volte richiederà un investimento, oppure molto impegno, o magari una preparazione specifica e profonda. Lo vedi, lo senti, di solito lo sai, proprio come un agricoltore: se si è appena comprato il campo sa che dovrà ararlo un bel po’. Se ha appena seminato, sa che dovrà irrigare. Se non sa che cosa deve fare, si va a cercare un consiglio, da un amico o da un professionista. “Ma mi serve una guida, un maestro?” Questa è una domanda importante, che avrebbe bisogno di un trattamento a parte. Se mi dovessero puntare una pistola alla testa chiedendo una risposta immediata e definitiva risponderei di si, ma in un certo senso questa risposta soggiace anche lei a quanto letto poco fa: lo vedi, lo senti, di solito lo sai. E quando sei pronto, ti trova.

Scendere fino alla radice

28 Ago

2013 08 28 la memoria

Questa immagine mi ha dato una visualizzazione grafica di una sensazione che avevo da tempo: le implicazioni di una nostra convinzione. Quando cominciamo a svegliarci, o magari anche solo a fare del lavoro psicologico, ci rendiamo conto che una serie a volte anche molto ampia di nostre reazioni o paure è imparentata fra loro. In realtà questa immagine ci potrebbe far inferire che lo sono tutte.

Il lavoro di stare con la sensazione del momento serve a portarci indietro, lungo il ramo che è venuto fuori ora. Più in profondità riusciamo a seguire quella sensazione, più ci avviciniamo all’origine di quella famiglia di reazioni e paure, e più la liberiamo. Come se vivessimo con un paio di occhiali con le lenti coperte da più pellicole, appiccicate l’una sull’altra e magari un po’ sporche: stare con la sensazione equivale a renderci conto che quella è una pellicola inutile, che non ha ragione di stare lì. Spesso stare con una sensazione non ci consente di arrivare subito alla radice della convinzione o della paura, ma pellicola dopo pellicola arrivo alla lente. Potrei perfino accorgermi che nemmeno l’occhiale ha ragione di essere.

Dopo essere stato con la prima reazione di paura, se non sgomento, che questa immagine mi ha inizialmente fatto emergere, ho trovato molto positiva la intuizione che che un ramo qualsiasi di questa struttura ti può portare al centro, al nucleo. Non c’è bisogno di occuparsi di ciascun ramo, c’è bisogno di seguire il percorso verso il nucleo, per svelare l’arcano.

In effetti da molte parti nella spiritualità si menziona il fatto che l’unica cosa da rimuovere è l’identificazione con il falso sè. Già, purtroppo si omette spesso di dire che quest’ultima è estremamente ben radicata, ed il rendersi conto intellettualmente che questa identificazione sia falsa -che vale la pena di ricordare: è la convinzione di essere qualcuno o qualcosa di diverso da ciò che siamo davvero- porta dei benefici, ma non ci libera.
La prima comprensione però, che poco fa ho chiamato intellettuale ma può essere anche più profonda, ci permette di renderci conto e di prepararci all’esplorazione che porta alla liberazione.

Il gioco consiste nel seguire indietro la sensazione che emerge, tracciandola nel corpo (tenete presente che molte sensazioni si presentano dentro la testa), e nello stare con essa fino a che permane, possibilmente senza perderla mai. Ogni sensazione ha il potere di riportarci alla pace, e questo è quello che avviene se abbiamo il coraggio di seguirla. Nel tempo noteremo che mano a mano che seguiamo le sensazioni, lo spazio di pace si espande. Come se nel seguire le sensazioni -ed è esattamente questo quello che avviene- esplorassimo il territorio e lo liberassimo.

Una nota importante: il motivo per cui di solito scappiamo dalle sensazioni è che siamo terrorizzati da ciò che esse tipicamente scatenano, cioè la ridda di paure, pensieri, ipotesi e conclusioni immaginarie che ci fa stare male. Restare con la *sensazione fisica* impedisce quella reazione, e taglia sul nascere la connessione fra l’emozione e i voli pindarici cui la mente ci ha abituati.

E’ un modo diverso di descrivere quanto esposto nell’articolo porta la torcia in giro per la tua caverna, ma il concetto è il medesimo….

Una ultima osservazione: liberazione non significa non provare più sensazioni spiacevoli. La differenza sta solo in che cosa facciamo con le sensazioni che emergono.

Immagine: courtesy of https://www.facebook.com/FansOfCognitiveNeuroscience

Porta la torcia in giro per la tua caverna

17 Apr

Una volta che hai riconosciuto la luce dentro di te, sai che puoi accedervi. Chiamiamolo riconoscimento di Sé, risveglio o in qualsiasi altro modo, sai che qualcosa è cambiato, la Grazia è entrata nella tua vita. Questo di solito non significa che la chiarezza che essa porta si manifesta in tutte le situazioni. Molto spesso anzi si genera una certa frustrazione, dato che a questo punto siamo abbastanza in grado di distinguere quando la luce è accesa da quando non lo è, e proviamo dolore sia per il fatto stesso di essere al buio che per le ricadute in schemi comportamentale vecchi e ripetitivi, a questo punto più fastidiosi.

Il riconoscimento deve essere integrato. In termini pratici, permettere che la scintilla si diffonda nella totalità della esperienza umana. Come si fa?

Immagina che la scintilla sia un vero e proprio fuoco. Una volta che è acceso è inestinguibile. Puoi aumentarne l’intensità, magari con l’ausilio di qualche pratica o cercando di essere presente. Avrà il suo effetto, ma in verità è davvero difficile che solo grazie a questo il fuoco entri in ogni cellula del tuo essere. Potremmo dire che una volta che il fuoco sia entrato nella tua caverna la illuminerà, ma dato che sei molto più vasto di quanto tu creda, la sua capacità di guidare i tuoi passi sarà ancora limitata. Non appena si gira dietro l’angolo sbagliato, che sia una relazione o qualche aspetto di noi influenzato da dolori antichi o altri condizionamenti, si sperimenta di nuovo buio.
La reazione tipica è il contrario di ciò che è necessario: meditare un po’ di più, e tenersi alla larga dagli spazi scuri. Se non restare con la propria frustrazione o addirittura mettersi a insegnare, in modo da ricevere qualche bella conferma che siamo già perfetti così (e alimentare il fuoco iniziale, perché l’insegnamento lo fa). Forse l’ego non è più padrone completo della situazione, ma può mantenere un gran bel controllo e si reinventa in una versione più subdola e accettabile.

Ciò di cui c’è bisogno è l’integrazione. Dato che la luce interiore non si spegne, puoi lasciarti andare in giro nella caverna, ma portati un tizzone del tuo fuoco con te. Si, muoviti verso le zone oscure. Lasciatici entrare in profondità. Hai il tuo tizzone con te. Dovrai muoverti con prudenza e umiltà, naturalmente, ma non c’è bisogno di preoccuparsi particolarmente perché l’esistenza ti dà sempre e solo ciò che puoi affrontare. Entra con gentilezza e volontariamente, lasciati consumare dall’oscurità, abbracciala con la luce della tua coscienza. Quel che scoprirai, è che non solo l’oscurità si lascia illuminare dalla tua torcia, ma prende fuoco anch’essa. La tua oscurità, i tuoi dolori, le tue paure, il tuo sgomento sono fatti di carburante. Quando entri dentro di loro non solo il dolore a un certo punto sembra dissolversi, ma scopri che si rivela essere fatto di amore, il carburante migliore per la consapevolezza.

Come gestire il dolore? Sentirlo. A livello del corpo e/o come energia: quando qualche alterazione si presenta, muoviti gentilmente verso di essa, porta attenzione alla parte del corpo dove essa si presenta (potrebbe essere anche dentro la testa), e stai insieme a quella sensazione  fino a che puoi o finché dura, se riesci siine consapevole anche facendo altre cose. Non scappare. Un poco di pratica ti dimostrerà che puoi e non è nemmeno difficile, di certo non quanto potessi temere. Potresti anche ricevere dei “download”, delle comprensioni, dopo; ma non cercarle, specialmente appena arriva la sensazione, o finiresti per cercare di risolverla pensandoci su, ahimè del tutto inutile nel migliore dei casi. E’ una questione di rilassarcisi dentro. Un po’ come se entrassi in una nuova stanza della caverna e ti ci ambientassi. In realtà la maggior parte delle volte non è davvero nuova, naturalmente. Ma non era mai stata visitata consapevolmente, né avevi mai provato a farci amicizia. Invece puoi, e un pochino di pratica ti farà rendere conto che è altamente desiderabile farlo, visto che così liberi quella zona di te!

——

Buona parte di queste comprensioni, e la metafora della grotta, sono venute durante la mia seduta settimanale con Christine Wushke.

Il miglior libro che abbia mai letto sull’integrazione è suo: “Freedom is your Nature” (in Inglese), in corso di pubblicazione. È possibile sostenerne la pubblicazione pre-acquistando la versione digitale per soli 10$ qui:
http://www.indiegogo.com/projects/freedom-is-your-nature-a-powerful-book-on-transformation
O sostenere un po’ di più, e ottenere alcuni regali preziosi.

Informazioni su di lei e sul suo lavoro:
http://innerlightyoga.blogspot.ca/
https://www.facebook.com/let.your.heart.sing?fref=ts

Dea dell’Amore

8 Mar

Quante volte ti ho persa
Dea dell’Amore
Quante volte ti ho ritrovata

Quante volte sono morto di dolore per te
sono morto

Quante volte sono rinato incontrandoti
ritrovandoti

Mai nata, mai morta
Mai persa, mai ritrovata

Già persa
Già ritrovata

Sei dentro di me
In ogni cosa
Sei me
Sei
….
Io?

Una mongolfiera

9 Dic

Immagina per un momento: sei una mongolfiera. Libera da costrizioni, ti libri nell’aria e voli. Se qualcosa ti appesantisce, se la zavorra che ti porti dentro è troppa, resti implacabilmente ancorata al suolo.
Cosa ti appesantisce? Davvero ti appesantisce? La coscienza che sei è intoccata da quel peso. A meno che lei stessa non lasci a quel peso il potere di mantenerla costretta a terra. Come intoccata? Intoccata! Guarda con attenzione: cosa è sempre stato lì presente in tutte le fasi della tua vita, chi ha osservato tutti gli eventi mentre si succedevano uno dopo l’altro, in quale spazio accadevano? Ti sei mai spostato veramente, o si è spostato solo il tuo corpo? Quella stessa coscienza consapevole è l’unica cosa immutabile di te, l’unica assoluta certezza. Ed è rimasta immutata da quando hai memoria.

Ma i carichi, le zavorre “esistono”. Qualcuno li chiama carichi karmici. Se accettiamo per un momento questa prospettiva, la ricerca spirituale diventa semplicemente un combinato composto di scaricare la mongolfiera delle sue zavorre, e aumentare la temperatura dell’aria. Scopo finale la libertà di volare dove sei davvero destinato.
E’ vero che i carichi karmici non esistono e quindi non possono fermare la coscienza, ma la manifestazione incarnata della consapevolezza che sei ne subisce il peso, fino a quando non si accorge davvero che non sono mai esistiti.

In questa prospettiva, il risveglio è il primo volo. Da solo o con l’aiuto di qualcuno, sei riuscito ad aumentare la temperatura dell’aria, e magari a non credere come hai sempre fatto “non posso!”, e ti sei librato in volo. Dopo un risveglio cosciente sai che quella gabbietta in cui ti trovi in realtà è il cestello di una mongolfiera, e sei tutt’altro che bloccato lì per sempre, anche se ti trovi in questo corpo e con questa mente, perchè essi viaggiano -o possono viaggiare- con te.
La liberazione consiste nell’aver sviluppato abbastanza capacità ed energia per mantenere la temperatura dell’aria della mongolfiera alta a sufficienza, e nell’aver scaricato sufficiente zavorra karmica. Sufficiente a riconoscere che non puoi soffrire se non lo permetti tu, anche se puoi provare dolori profondi. Sufficiente a riconoscere l’amore di cui sei sempre stato circondato, anche nella disperazione più nera.
Illuminazione vuol dire vedere il karma nella sua interezza, il tuo e quello che circola all’interno del sogno, e sapere che sei del tutto intoccato da esso, saperlo con ogni fibra del tuo corpo, mantenere consapevolezza di questo anche di fronte ai pensieri più subdoli e i dubbi più terribili. La mongolfiera, non contenta di volare nel cielo, vola oltre l’atmosfera ed esplode. La coscienza ritorna a se stessa, riprende la misura di Sé, rimette in prospettiva questo microscopico pianeta con i suoi miliardi di miliardi di storie, rese microscopiche dalla loro irrilevanza, eppure così importanti, perchè “come in cielo, così in terra”.

Non so come mi sia venuta questa metafora, ma ho notato che era accurata per me, e ho pensato di condividerla. Accurata perchè vedo il karma che può inchiodarmi a terra come una potente forza di gravità, le tendenze karmiche che rendono la mia vita un insieme di scelte obbligate, se glielo permetto; vedo come ho bisogno di una considerevole energia per volare, energia che in tutti questi anni non ho fatto altro che esercitare, sviluppare, potenziare. Perchè una volta che ti libri in volo, quello che provi te lo farà cercare per sempre, ti farà struggere proprio come un fiore si strugge per sbocciare. Come se potesse sbocciare domani. Anche se può accadere solo qui e ora.

Bisogno d’amore….

5 Lug

Oggi ho imparato da una pianta.

Dentro di me è sempre esistita quella specie di fame di amore che mi ha portato a cercare nelle relazioni il completamento di me stesso, se non addirittura il riempire qualche mio buco.

Oggi ho notato una pianta molto bella sul balcone dei miei. Dev’essere rimasta lì da sola per mesi, con un semplice irrigatore e un timer, ed è stata una rivelazione. Certo che le piante sentono noi, e beneficiano della nostra cura e magari del nostro pollice verde. Ma non hanno bisogno di noi, crescono benissimo se ci sono le condizioni oggettive, e fra queste non c’è la cura o la compagnia di qualcuno esterno.

La verità è che o si vede per bene quella fame di amore, o non abbiamo alcuna chance di poterci relazionare veramente. Questo perché è una triste bugia il fatto che noi si abbia bisogno di qualcun altro che si prenda cura di noi, o che qualcuno abbia davvero bisogno che noi interveniamo. Queste considerazioni prescindono da condizioni oggettive, anche perché queste ultime prescinderebbero da noi: qualcun altro se ne potrebbe occupare.

Se andiamo oltre le bugie, possiamo invece relazionarci per davvero e…. mi sa che si tratta di tutto un altro film.

Sicuro che faccia per te?

17 Mar

La domanda del titolo di questo paragrafo non è retorica. Non credo di fare una forzatura se la paragono alla domanda, restata negli annali della cinematografia, “Pillola rossa o pillola Blu?” fatta da Morpheus a Neo nel film Matrix, o alla insegna “Perdete ogni speranza o voi ch’entrate” posta sulla porta dell’inferno dantesco.

Si tratta di una strada senza ritorno, principalmente perché questo è il ritorno. Se leggete queste righe è possibile, per usare una vecchia metafora Zen, che la vostra testa non sia ancora dentro le fauci della tigre, ma se così non fosse ecco qualche avviso ai naviganti.

 

La strada del ritorno a casa è obbligata. Nasciamo perfettamente a casa, e vi facciamo ritorno quando il corpo che conosciamo come “io” muore. Ritornare a casa mentre il corpo è in vita è però un percorso particolare, che -da un certo punto di vista- prevede di affrontare letteralmente tutte le paure che albergano in noi, e questo non è sempre piacevole. Non è neanche terribile, intendiamoci, ma richiede una intenzione ferma, la disponibilità a stare del tutto sulle proprie gambe, estrema onestà verso se stessi, un sacco di apertura, e…. fede. Curioso usare questa parola, ma non ne conosco di più adeguate. Non fede in qualcosa o qualcun altro, fede e basta, fiducia allo stato puro. Perché è “casa”, al di là di ogni possibile dubbio, ma i dubbi potranno essere molti.

 

Fra l’altro non è dato di fermarsi a metà. Una volta intrapreso, il percorso vi porterà per forza verso la sua destinazione finale. Meglio esserne ben consapevoli. Se dovessi usare una metafora (ne userò tante, conviene abituarsi), direi che si tratta di un bel salto. Una volta fatto non c’è modo di ritornare su.

 

Nel caso in cui abbiate già intrapreso questo percorso, forse troverete qui qualche indicazione utile.

Se invece non siete sicuri di ciò che fate, lasciate perdere. Qui conviene entrare solo se si hanno perso le speranze, se la sofferenza del solito modo di vivere è decisamente troppa, o se si ha già la fede e la consapevolezza che l’esistenza si prende davvero cura di noi.

 

E’ una strada di verità, non di speranze, per queste ultime non c’è spazio. Porta a indagare e scoprire direttamente ciò che è vero e indiscutibile per chi legge, e non si conclude fino a quando anche l’ultima delle credenze, delle idee false cui crediamo o abbiamo creduto, non sia stata polverizzata.

 

L’ultimo elemento, ma non meno importante: qui si deve essere pronti a rinunciare agli incubi, e rinuncerebbe volentieri chiunque, ma anche ai sogni. Non si tratta di sognare qualcosa di più bello, ma di svegliarsi. Non è la stessa cosa.

 

Quindi adesso fate qualche bel respiro, dedicatevi a osservare le sensazioni che vi dà il corpo mentre li fate, e sentite (ho detto sentite, non pensate o ragionate!) se avete davvero voglia di entrare qui. Gli avvisi sono terminati, e se volete ancora leggere lo fate a vostro rischio e pericolo.

L’amore è un monsone

18 Dic

L’amore vero è un monsone. La pioggia è bella e nutre la madre terra, ma il monsone è un’altra storia. La terra fa l’amore con il cielo. Un mare di acqua, potresti non riuscire a capire più da dove arriva. E tutto fiorisce e cresce in una abbondanza straordinaria. Nè la terra nè il cielo rimangono più gli stessi, cambia la loro stessa natura.

Resa totale della terra, che riceve tutto ciò che le arriva, resa totale del cielo, che si lascia dare tutto ciò che ha. Diventano una cosa sola.

La pioggia è bella, nutriente, confortevolmente sicura, ma la madre terra resta assetata, e il cielo gravido si trattiene. Nulla cambia, si guardano un po’ da lontano.

La pioggia può diventare un monsone? E’ possibile. Potrebbe volenrci tempo, ma madre terra e il cielo potrebbero avvicinarsi fino a fondersi. In fondo, lo sanno se possono o vogliono. Devono esser disposti a rinunciare a tutto perchè, di nuovo, nulla rimarrà come prima.

Goditi la pioggia, vedi se può diventare un monsone, sii sveglio e radicalmente onesto.

Meglio stare alla larga dalle docce, invece… o se ne vuole saltar fuori presto, o l’acqua calda potrebbe finire, per ritrovarsi troppo presto asciutti.