Do not identify

22 Mar

Today I noticed an interesting detail. While involved in driving, I remembered a wise suggestion: don’t take things personally. If someone cuts your lane, don’t even believe for a second “what did you do to *me*?”. Whoever did that, he didn’t do it to you, a) because most likely that’s what that driver does, he might do it often and at whomever, b) because there is no such thing as a you or a him in the first place (if you really investigate).
Fine. But the interesting appendix to this suggestion was: do not identify with everybody, either. Yes, because the a) statement, above, tends also to generate a famous “he shouldn’t do it. period”. That particular reaction generates a “protect the world” reaction, more often than not manifested in lots of wise, serious, maybe angry thoughts. Is it better than the range of thoughts belonging to the series “he did it to me”? Not much better, honestly. It triggers mind boggling and ego exactly in the same way. Maybe potential damages from the you driver might be less serious: after all if my identity gets challenged the little me can get very serious about it, while if it is the “us” that gets affected we tend to be less prone to start a war. Still, the old paradigm of separation IS reinforced, even in the second case. And the ego is reinforced even more, because it’s rambling for a good cause.
Hey, what should I do? Should I let everybody do anything? Check: which wars did you fight for much more serious world issues, lately? Are you sure that’s a valuable excuse to lose your inner peace? Breathe, just breathe consciously. Also this shall pass. It is actually already gone, or maybe it didn’t even happen in the first place, and “life is but a dream”.

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If you notice it and feel it through it stops right here…

16 Mar

…and it takes you to the formless

Have you ever noticed how emotions, once sparked, tend to stick around? Especially negative ones.
Today I have noticed this fenomenon and investigated it more thouroughly than in the past, and noticed something interesting: I had a strange anger, that I could not exactly connect to a particular event. I mean, there was something, but the detail was that the same happening would have meant nothing in many other occasions, and yet I was a bit angry and resentful. By sitting with it, I could see how that particular anger was actually causeless in itself, got lightened by that particular spark, and was going around myself a bit more.
So I just sat with it. And it got transformed in some other energy, much more enjoyable, in pure fuel. Something must have been watching more carefully, because I also noticed how that initial energy, in itself not particularly pleasant (especially because it was drawing me to be a little aggressive and grumpy), disappeared. It was actually transformed, as I just described, but the bad taste of it dissolved.
The attention that watched the fenomenon has stuck around further, for it became apparent that by feeling it through in the body, by breathing it all in, I got rid of that annoying stickiness that tends to come with negative emotions. At that point somehow I knew that -on a much larger scale- the reason why powerful emotional states keep churning us for so long can be related exactly to the lack of willingness to face them.
In short what we do seems to be: posponing. Just as when we were kids we would pospone an annoying homework, and beg mummy to let us play a bit further, today we pospone facing what comes up. And whatever comes up, just like a little kid, keeps pulling our trousers and skirts until we dedicate our full attention to it. And just like those little kids, as soon as we sit down and look at them in the eye, asking gently “what is it love?” and taking the time to relate to it, to make sure they are fine, they end up -how obviously- being just perfect.
A fairly amazing side effect? That “being perfect” happens to mean that you have been taken to the formless. Where cause and effect do not exist, time does not exist, and everything IS perfect as it is. Even that annoying emotion or emotional state becomes perfect, because it was the rope that pulled us here. I found myself pretty grateful to it.

Thanks, Christine Wushke ( http://innerlightyoga.blogspot.ca/ )

Dea dell’Amore

8 Mar

Quante volte ti ho persa
Dea dell’Amore
Quante volte ti ho ritrovata

Quante volte sono morto di dolore per te
sono morto

Quante volte sono rinato incontrandoti
ritrovandoti

Mai nata, mai morta
Mai persa, mai ritrovata

Già persa
Già ritrovata

Sei dentro di me
In ogni cosa
Sei me
Sei
….
Io?

Una mongolfiera

9 Dic

Immagina per un momento: sei una mongolfiera. Libera da costrizioni, ti libri nell’aria e voli. Se qualcosa ti appesantisce, se la zavorra che ti porti dentro è troppa, resti implacabilmente ancorata al suolo.
Cosa ti appesantisce? Davvero ti appesantisce? La coscienza che sei è intoccata da quel peso. A meno che lei stessa non lasci a quel peso il potere di mantenerla costretta a terra. Come intoccata? Intoccata! Guarda con attenzione: cosa è sempre stato lì presente in tutte le fasi della tua vita, chi ha osservato tutti gli eventi mentre si succedevano uno dopo l’altro, in quale spazio accadevano? Ti sei mai spostato veramente, o si è spostato solo il tuo corpo? Quella stessa coscienza consapevole è l’unica cosa immutabile di te, l’unica assoluta certezza. Ed è rimasta immutata da quando hai memoria.

Ma i carichi, le zavorre “esistono”. Qualcuno li chiama carichi karmici. Se accettiamo per un momento questa prospettiva, la ricerca spirituale diventa semplicemente un combinato composto di scaricare la mongolfiera delle sue zavorre, e aumentare la temperatura dell’aria. Scopo finale la libertà di volare dove sei davvero destinato.
E’ vero che i carichi karmici non esistono e quindi non possono fermare la coscienza, ma la manifestazione incarnata della consapevolezza che sei ne subisce il peso, fino a quando non si accorge davvero che non sono mai esistiti.

In questa prospettiva, il risveglio è il primo volo. Da solo o con l’aiuto di qualcuno, sei riuscito ad aumentare la temperatura dell’aria, e magari a non credere come hai sempre fatto “non posso!”, e ti sei librato in volo. Dopo un risveglio cosciente sai che quella gabbietta in cui ti trovi in realtà è il cestello di una mongolfiera, e sei tutt’altro che bloccato lì per sempre, anche se ti trovi in questo corpo e con questa mente, perchè essi viaggiano -o possono viaggiare- con te.
La liberazione consiste nell’aver sviluppato abbastanza capacità ed energia per mantenere la temperatura dell’aria della mongolfiera alta a sufficienza, e nell’aver scaricato sufficiente zavorra karmica. Sufficiente a riconoscere che non puoi soffrire se non lo permetti tu, anche se puoi provare dolori profondi. Sufficiente a riconoscere l’amore di cui sei sempre stato circondato, anche nella disperazione più nera.
Illuminazione vuol dire vedere il karma nella sua interezza, il tuo e quello che circola all’interno del sogno, e sapere che sei del tutto intoccato da esso, saperlo con ogni fibra del tuo corpo, mantenere consapevolezza di questo anche di fronte ai pensieri più subdoli e i dubbi più terribili. La mongolfiera, non contenta di volare nel cielo, vola oltre l’atmosfera ed esplode. La coscienza ritorna a se stessa, riprende la misura di Sé, rimette in prospettiva questo microscopico pianeta con i suoi miliardi di miliardi di storie, rese microscopiche dalla loro irrilevanza, eppure così importanti, perchè “come in cielo, così in terra”.

Non so come mi sia venuta questa metafora, ma ho notato che era accurata per me, e ho pensato di condividerla. Accurata perchè vedo il karma che può inchiodarmi a terra come una potente forza di gravità, le tendenze karmiche che rendono la mia vita un insieme di scelte obbligate, se glielo permetto; vedo come ho bisogno di una considerevole energia per volare, energia che in tutti questi anni non ho fatto altro che esercitare, sviluppare, potenziare. Perchè una volta che ti libri in volo, quello che provi te lo farà cercare per sempre, ti farà struggere proprio come un fiore si strugge per sbocciare. Come se potesse sbocciare domani. Anche se può accadere solo qui e ora.

Bisogno d’amore….

5 Lug

Oggi ho imparato da una pianta.

Dentro di me è sempre esistita quella specie di fame di amore che mi ha portato a cercare nelle relazioni il completamento di me stesso, se non addirittura il riempire qualche mio buco.

Oggi ho notato una pianta molto bella sul balcone dei miei. Dev’essere rimasta lì da sola per mesi, con un semplice irrigatore e un timer, ed è stata una rivelazione. Certo che le piante sentono noi, e beneficiano della nostra cura e magari del nostro pollice verde. Ma non hanno bisogno di noi, crescono benissimo se ci sono le condizioni oggettive, e fra queste non c’è la cura o la compagnia di qualcuno esterno.

La verità è che o si vede per bene quella fame di amore, o non abbiamo alcuna chance di poterci relazionare veramente. Questo perché è una triste bugia il fatto che noi si abbia bisogno di qualcun altro che si prenda cura di noi, o che qualcuno abbia davvero bisogno che noi interveniamo. Queste considerazioni prescindono da condizioni oggettive, anche perché queste ultime prescinderebbero da noi: qualcun altro se ne potrebbe occupare.

Se andiamo oltre le bugie, possiamo invece relazionarci per davvero e…. mi sa che si tratta di tutto un altro film.

Drop the hot stone?

29 Giu

Very often the process of stopping doing something that is hurting yourself is described like a “dropping the hot stone you are holding onto”. Today it came to me that this particular way of describing is misleading. You are not holding something hot, you are sitting on something hot. The difference is crucial, though. Saying you are holding onto something hot assumes you always can drop it, right? But that doesn’t seem to be the case, most of the time. Most of the time the internal energy is so low, that you can’t move your butt from the hot stone you are sitting on. If is low enough, you do not even realize it is hot. Often you know it is hot, but you can’t move past it. That is why most people won’t get it and act instantly on it, and at times it takes them forever. That applies to me too. Just like I heard in here “don’t make the pain smaller, Great Mother, help me giving me more courage”…. Just find ways to raise energy, or presence, seems to me the only way. If that is the case, being awakened seems like being able to… never sit. Or being always able to fly and never land on anything.

Enlightenment

18 Giu

Baby: Hey look, i found a (bunch of) flower(s)!

Mum: Honey, great. I’m so happy for you!

Baby: Can I go take this flower to…

Mum: Of course, dear

Baby: Everybody deserves and needs flowers

Mum: Yeah, darling

Baby: Do you think I should show these flowers to the entire world?

Mum: Mmm…. am not sure

Baby: Or maybe I should show the entire world where flowers are!

Mum: Dear, maybe not

Baby: Shall I tell every every everybody that I know flowers?

Mum: No, my love

Baby: Oh…

Baby: Mum, I learned how to cut flowers very nicely!

Mum: Good, dear

Baby: Shall I open up a flowers shop?

Mum: I guess you’re a bit young for that, dear

Baby: How about opening up a school on how to cut flowers??

Mum: Errr….

My beloved one, you found out about flowers, and that is really awesome. It is all the more awesome that you noticed how flowers can change everybody’s day, sometimes a lot. Please remember to always bring a flower with you and look at it yourselves, and if you feel it, share it. I love it that you love flowers, and if you’ll go around your entire life learning about flowers, I’ll totally support that. But now please, it’s time to go to school and do what you were meant to be doing, ok?

Vivi respirando – Parte I – Il corpo di dolore

25 Apr

Il concetto di corpo di dolore è stato coniato da Eckhart Tolle, forse l’insegnante vivente principale e più conosciuto del pianeta. Descrive con estrema efficacia una delle parti del “me” come lo abbiamo vissuto fino a prima di riconoscere chi siamo, quella parte che emerge quando per qualche motivo la presenza non è a un livello sufficiente e sembra quasi dirottare il “me”, portandolo a fare cose di cui tendiamo a pentirci molto in fretta.

Eckhart ha mostrato con chiarezza come il nostro perdere lucidità porti al sopravvento di una parte di noi, che lui ha chiamato il corpo di dolore, che sembra avere priorità spesso anche in conflitto con la nostra coscienza e con i nostri pensieri. Vale la pena ricorrere a qualche esempio.

Avete presente quelle situazioni nelle quali sappiamo benissimo che stiamo per dire qualcosa che il nostro interlocutore prenderà male, che sia perché ne soffrirà (e noi ci stiamo di fatto comportando da carnefici) o perché scatenerà in lui sensazioni e reazioni negative (magari ci tiriamo proprio la zappa sui piedi), eppure la diciamo lo stesso?

Un’altra situazione tipica tende a verificarsi durante la guida, nel traffico. Appena qualcuno fa qualcosa che non rientra nel nostro schema “ci si comporta così” si presentano varie versioni del corpo di dolore, da quella che parte in quarta alla minima presunta offesa, come se volesse punire l’automobilista che si è reso colpevole di chissà quale offesa mortale, a quella che si mette a discutere con il guidatore fellone (naturalmente senza che costui possa controbattere né tanto meno sentire quel che ci viene fuori), passando per tutte le varianti possibili fra cui la tradizionale selva di insulti e gestacci, evidenti o soffocati dentro di noi.

Non credo sia difficile osservare come in entrambi gli esempi le reazioni descritte vadano invariabilmente e spesso unicamente a nostro discapito. Abbiamo l’impressione di scaricarci di parte dell’emozione negativa, ma in realtà ci intossichiamo per 100, e se ci va di lusso scarichiamo per 30 o 40. Spesso però ci esponiamo anche a rischi e potremmo perfino causare incidenti, diplomatici nel primo esempio, veri e propri nel secondo.

Il punto cruciale qui è vedere realmente che questo avviene dentro di noi, e a volte prenderne coscienza potrebbe causare uno shock. Il secondo punto è sapere che si tratta di un soggetto (probabilmente in psicologia lo chiameremmo alter-ego) piuttosto folle, che sopravvive dentro di noi solo fino a quando la presenza non è sufficiente a farlo svanire. Un terzo punto di notevole importanza consiste nel riconoscere che il corpo di dolore non è per nulla personale. Nel senso che pur apparendo in modalità a volte peculiari e uniche per ciascuno di noi, si tratta dello stesso “animale” che attraversa me e chiunque altro, che si alimenta di sofferenza individuale e collettiva, le cui caratteristiche, per la versione che tocca ciascuno di noi, possono essere certamente state influenzate dal vissuto personale e familiare.

Come si fa a neutralizzare? Vedendolo. Non accorgendosene con il pensiero, ma percependolo con tutto il nostro essere, fino a che non sia scattato l’”aha” che ce ne separa.

Un piccolo inciso: la rappresentazione letteraria tipica del corpo di dolore è il vampiro. Fino a quando è buio -metaforicamente la mancanza di luce è mancanza di presenza- si scatena; non appena sorge il sole -la presenza torna padrona del campo- si deve andare a rintanare in una tomba. Da un punto di vista cinematografico, invece, il personaggio più adatto a dare l’idea del “mostriciattolo” corpo di dolore è Smigol/Gollum, frutto della fantasia di J.R.R.Tolkien e rappresentato magistralmente al cinema ne “Il Signore degli Anelli”. Come molti ricorderanno, si tratta di un mostro dal comportamento bipolare, estremamente servile e codardo oppure altrettanto aggressivo e vile, ma in ultima analisi guidato solo dalla ricerca di dolore, come se quest’ultimo fosse la sua unica ragione di vita, e che non sopporta di esser colto in fallo, cosa che tipicamente lo rende del tutto impotente.

Vivi respirando – parte I – Il momento presente

17 Apr

Uno dei modi con cui i mistici hanno cercato di farci rientrare in noi stessi e di svegliarci, è stato di farci ritornare al momento presente. Qui preferisco provare ad anticipare le conclusioni per poi argomentarle, anche se costringerà il lettore a un bel salto. Molte delle descrizioni che seguono, infatti, potrebbero essere usate nella terza sezione di questo scritto.

Sempre tenendo a mente che parole e frasi sono cartelli e non la realtà che cercano di richiamare, non diverse da una equazione matematica usata per descrivere un fenomeno fisico, potremmo fare una serie di affermazioni come queste:

  • L’”Io” vero, quello che posso riconoscere adesso, è lo spazio di coscienza consapevole in cui tutto accade;
  • Senza questo “Io”, la realtà non potrebbe nemmeno sorgere, perché la precede e la sottende; un po’ come dire che le parole non potrebbero esistere davvero se non vi fossero orecchie che ne consentissero prima la creazione e poi l’ascolto;
  • Questo spazio di coscienza racchiude in sé tutta la Creazione, ne è al tempo stesso il seme e il frutto;
  • Il dove e il quando in cui tutto accade è… qui e ora. Tutto ciò che posso davvero sapere e confermare al di là di ogni possibile dubbio è osservabile nel momento presente. Il resto è memoria o speculazione, entrambe frutto della mente e perciò non confermabili;
  • Non è possibile trovare alcuna separazione fra le singole componenti della realtà che sperimentiamo, sebbene la mente possa provvedere a inventarsi distinzioni ed etichette adatte allo scopo.

Queste affermazioni possono essere verificate facilmente da ciascuno di noi, dopo aver riconosciuto. Il che non garantisce che la mente non troverà mille argomentazioni per smentirle. Ma come avevo anticipato queste comprensioni non sono né acquisibili con gli strumenti del pensiero né adatte ad essere inserite all’interno di uno schema mentale. Eppure riconnettendoci a noi stessi possiamo provare a controllarne la veridicità con cura, confortati sia dal fatto che migliaia di mistici hanno trasmesso e mostrato queste comprensioni per millenni interi, sia da quello che ormai molte di queste stesse affermazioni siano oggetto di innumerevoli conferme scientifiche.

Ma allora se vado oltre l’apparenza io sono il momento presente? A costo di far venire qualche brivido, e consci del fatto che l’affermazione non fa che sintetizzare una Realtà molto più ricca e complessa, possiamo dire che è così.

Ecco perché tutti gli insegnamenti hanno sempre sostenuto che è così importante essere presenti, essere nel momento presente, essere consapevoli e compagnia bella. Essere nel momento presente significa essere se stessi. Con tutti i turbamenti che questo comporta, perché molto spesso ciò che c’è nel momento presente non ci piace, lo vorremmo diverso, ci provoca frustrazioni.

Ma il momento presente è la nostra vita stessa, anzi è Vita, ed essere allineati con esso è essere allineati profondamente con noi stessi. Il che, neanche a dirlo, reca con sé una pace senza confini.

Vivi respirando – Parte I – Oltre la storia di me

12 Apr

“Si, e… allora?”. Le implicazioni del riconoscerci sono davvero molto estese, in inglese si direbbero life-changing (ti cambiano la vita), ma non necessariamente evidenti sopratutto all’inizio del viaggio vero. Il percorso iniziato riconoscendo consapevolmente chi siamo serve a poter finalmente andare oltre la storia di me che ci siamo costruiti, e che troppo spesso raccontiamo a noi stessi e agli altri.

(Ce) La raccontiamo così convinti che siamo davvero, proprio fatti così, da non voler nemmeno più metterla in discussione per non sentirci stupidi, ma la realtà di noi stessi è infinitamente più vasta di quanto qualunque storia potrebbe mai raccontare, al punto che la conoscenza di sé è un viaggio infinito, in cui il meglio che si possa ottenere è la consapevolezza di quanto poco si sappia. Riprendere contatto con noi stessi inizialmente ci permette di stare semplicemente meglio, perché dal nostro spazio interiore proviene una pace di qualità molto superiore a quella cui siamo abituati – quella che dipende dalla mancanza di fastidi esterni o dalla presenza di cose che ci portano piacere; poi ci porta a muoverci allineati a noi stessi e alla vita che ci circonda, permettendole un fluire armonico. Si, avete ancora bisogno di dare fiducia a queste pagine e arrivare in fondo. Non che stia promettendo nulla, ma per avere almeno una infarinatura di quanto ci aspetta è importante non prestare il fianco al giochino della mente “mbhé?” fino a quando non si siano consolidati gli strumenti per riderne.

Per tornare all’argomento di questo paragrafo: stare con, partire dal, lo spazio di presenza che a quest’ora dovremmo aver riconosciuto consente finalmente di non scegliere più sulla base di pensieri ma di cortocircuitarli e muoverci da noi stessi. So che suona strano affidarsi a quella specie di nulla che abbiamo riconosciuto -anzi che l’autore sostiene- essere noi stessi, e genererà un numero di dubbi considerevole. Né è detto che questo accada fin da subito, ma pian piano dovremmo imparare a distinguere quando ci sentiamo e quando pensiamo di sentirci in un certo modo, e quando ci sentiamo e quando invece pensiamo di fare qualcosa.

Mille volte ci siamo trovati a non sapere che cosa fare, e ci siamo affidati ai pensieri e ai ragionamenti, ma partire da noi stessi ci fa muovere in modo radicalmente diverso, anche se i risultati sembrano errori. Questo assetto non ci impedisce di fare errori, a volte ne abbiamo bisogno per i motivi più disparati, ma eventualmente di capirli e comunque porta con sé l’allinearsi a noi stessi ed alla vita che ci circonda, ma non a sogni o incubi, nostri o di qualcun altro.

Il miglior modo che io conosca di descrivere questa differenza proviene da Osho, un mistico indiano vissuto dal 1931 fino all’inizio del 1990, che sosteneva che solo chi tiene gli occhi chiusi ha il dubbio della scelta, come un cieco ha necessità di provare e tastare con il suo bastone i muri della stanza dove è rinchiuso per trovare la porta. Colui che ha gli occhi aperti non ha quel dubbio, vede dove si trova la porta. Questo non significa che da oggi in poi sarà sufficiente riconnettersi per avere sempre le idee chiare, perché talvolta quando cerchiamo la risposta essa non è ancora giunta, ma ci salvaguarda dal muoverci su basi non allineate a noi stessi.

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