Non so come mai non abbia trovato finora nessuno che lo dica come lo ho compreso io. Forse ho capito male, eppure tutta la mia esperienza in questa ricerca sembra confermare che esiste un velo, impalpabile eppure piuttosto efficiente, davanti ai nostri occhi.
Fino a quando tale velo non viene strappato, la ricerca vera non comincia. Non che prima noi non ricerchiamo, anzi. Ma giriamo a vuoto. L’effetto che la ricerca ha, prima di strappare il velo di cui parlo, tende a essere poco più che un palliativo: stiamo bene quando meditiamo (o quando applichiamo il nostro metodo personale), ma se qualcuno poi ci taglia la strada i benefici della meditazione come di qualsiasi altro metodo sembrano svanire, e il “mostro” dentro di noi è di nuovo padrone del campo, lasciandoci piuttosto scoraggiati.
Strappare il velo significa riconoscere chi siamo veramente. Non capire chi siamo, proprio ri-conoscere. La metafora dello strappare il velo è chiamata in gergo spirituale Risveglio. Da non confondersi con Illuminazione o Liberazione. Il risveglio ne è una precondizione essenziale.
Molti hanno descritto il Risveglio in un modo -a mio modestissimo avviso- che assomigliava tremendamente all’Illuminazione, confondendo le acque non poco. In realtà il risveglio potrebbe essere paragonato alla rottura insanabile di una diga, mentre l’illuminazione corrisponde al suo inesorabile franare. Il primo rende il secondo solo una questione di tempo, ma potrebbe essere molto, e anche se la diga non svolge più la sua funzione come si deve, può comunque impedire a gran parte dell’acqua di scorrere.
Altri hanno parlato dell’illuminazione istantanea, come se la diga esplodesse. Non ho mai conosciuto nessuno che la abbia sperimentata così. Le descrizioni di cui ho sentito parlare, in lungo e in largo, contenevano praticamente sempre periodi più o meno estesi di forti assestamenti, come se la demolizione della vecchia diga richiedesse qualcosa di più del primo botto. Almeno un insegnante di livello eccelso, Adyashanti, suffraga la mia impressione con il suo esempio personale e una lunga esperienza di insegnamento a persone risvegliate. Con ciò non escludo, naturalmente, che non possa essere accaduto o accadere a qualcuno.
Fino al secolo scorso gli insegnamenti non prevedevano il Risveglio all’inizio del viaggio. Veniva fatto sperimentare solo dopo molti anni di pratica spirituale. Poi è arrivato Ramana Maharshi, il primo guru di calibro pesante che ha puntato direttamente al riconoscimento, mostrando due cose: primo, è necessario riconoscere chi sei; secondo, è necessario essere chi sei. Ramana mostrava con la propria presenza e l’esempio come questi concetti, peraltro antichi e per certi versi ampiamente noti, non dovessero essere elaborati a livello mentale ma sperimentati direttamente, qui e ora. Dove stava la differenza? Era ed è ancora abissale: sperimentare il proprio riconoscimento non è avere un’idea più accurata di se, è sperimentare Il Sè.
Da Ramana in poi gli insegnamenti si sono fatti per certi versi più confusi, dato che i vecchi non erano da buttar via ma il nuovo sembrava un po’ tosto da assimilare. Comunque dopo di lui persone come Punjaji, Gangaji, Dolano hanno tramandato nei loro modi l’approccio “prima svegliati” (e poi ne parliamo), ma la “novità” ha segnato gli insegnamenti di quasi tutti i maestri di questa ricerca.
Con questi appunti cerco di chiarire alcuni aspetti sui quali mi sono incagliato a lungo, e per i quali ho dovuto -anche dopo il mio primo riconoscimento- cercare molto. Non che il viaggio sia terminato, ma mi sento di condividere quanto ho compreso fin qui, non sia mai che serva a qualcun altro.
Tutto ciò che può essere sperimentato non è di certo il Sè, in quanto Esso è ciò testimonia e rende possibile ogni esperienza senza a sua volta poter essere sperimentato. Come può l’occhio vedere se stesso? L’occhio può solo intuire se stesso e dunque prendere coscienza di “essere” se stesso. Il risveglio è appunto questa intuizione diretta, immediata, a-temporale, che tuttavia deve a sua volta essere integrata a livello psicofisico. E questo può richiedere tempo perchè è come riaccordare uno strumento a una frequenza totalmente nuova. Dunque più che una differenziazione tra illuminazione e risveglio credo sia più corretto parlare di “lampi” di risveglio e un risveglio armonicamente reintegrato a livello psicofisico. Balsekar chiamava il periodo tra i due periodo “flip flop”. 🙂
parlare di correttezza delle parole quando queste non possono descrivere la realtà temo non sia adeguato. in questo caso specifico sono solo cartelli, quindi conviene valutarle in termini di velocità con la quale ti fanno cogliere dove sei e dove stai andando, permettendoti di rilassare ciò che altrimenti ostacola. flip-flop è un concetto inaccettabile per la mente, e ho conosciuto centinaia di ricercatori in lotta proprio con il flip-flop. peraltro Adya descrive varie volte il viaggio, anche il suo personale, con parole molto simili a quelle usate qui…
In che senso il flip-flop è un concetto inaccettabile per la mente? Io lo vedrei invece come l’esatto opposto, ovvero la resistenza del piano mentale a integrare le forti implicazioni che uno o più “glimpse” sulla nostra vera natura comportano…
Da un punto di vista strettamente personale è uno stato che genera notevole frustrazione. Ti sarà capitato di sicuro di vedere quante domande sul “I got It, I lost It!” si sono sentite e ancora si sentono ai satsang. Se invece guardi il flip flop dalla prospettiva di dove ti trovi nel “viaggio” è più facile accettare la temporaneità dei glimpse e rilassarsi, il che è anche il modo migliore per lasciare che la grazia entri in tutti gli aspetti della vita.